Quel Ponte sul Fiume FAENZA (#)


La costruzione dell'Acquedotto Carolino che per 38 km conduce le limpide acque delle Sorgenti del Fizzo dalle pendici del Monte Taburno fino ai monti di Caserta, arricchendosi lungo il suo percorso di sempre nuove immissioni, fù un lavoro lungo ed estenuante che per 16 anni vide operai lavorare intensamente alla realizzazione di scavi, trafori e ponti (di cui i Ponti della Valle sono solo l'opera più visibile) attraverso territori composti per lo più di dura roccia.
Una fatica enorme di cui lo stesso Vanvitelli ci ha lasciato numerose tracce scritte:

"L’acqua Felice, in tempo di Sisto V, fu condottata in Roma in 28 mesi, ma si attaccò foco per tutta l’estenzione; io non lo posso fare, per ragione dell’assegnamento regolare che il Re à fatto.
Io devo caminare sempre per monti di pietra e soltanto per ora ne traverso uno di tufo; la strada è più lunga e devo traversarne uno vicino coperto tutto di pietra viva; la cosa si dice con facilità, ma è molto difficile nell’eseguirlo e vi vuole del tempo per fare saltare all’aria il sasso"

Ovviamente non sarebbe mai stato possibile mandare avanti i lavori di realizzazione per un tempo così lungo, spendendo le cifre astronomiche che quell'opera richiedeva, senza tener vivo nei Sovrani committenti il desiderio del suo risultato finale ...ancor più considerando i tanti detrattori di Vanvitelli, che per tale motivo doveva organizzare per i Sovrani dei sopralluoghi che facessero loro toccare con mano l'avanzamento dei lavori.

Una di queste occasioni, di cui lo stesso Vanvitelli ci scrive, fù la visita dei Sovrani al Ponte Nuovo ancora in costruzione sul fiume Faenza (attuale Isclero), nella piana di Airola il 22 Marzo 1754, che si rivelò un'occasione perfetta per mettere in risalto la notevole mole di acqua raccolta facendola riversare dal ponte sul fiume sottostante.

"Lo condussi al Ponte Nuovo sul fiume Faenza, dove tutta l’acqua feci cadere a caduta nel fiume
istesso, ma sopra un arco laterale a quello di mezzo, sotto di cui il fiume passa.
Restarono molto piacevolmente ammirati della quantità dell’acqua, come anche della costruzione del Ponte, sopra cui, benché non ancora terminato del tutto, vi avevo fatta inalzare la di loro inscrizione:

Carolus et Amalia utr. Sic. Et Hier.
Reg. Anno Domini MDCCLIII

Il tempo, la vista et ogni altro conferì a cotesto di loro piacere, che fu di mia somma consolazione. Indi le loro Maestà si avvicinavano, si allontanavano per godersi del bellissimo butto di acqua, e la Regina si avvicinò tanto che n’ebbe qualche leggiero spruzzo.
La quantità dell’acqua è consimile a quella di S.Pietro in Montorio.
Vollero poi vederla correre nel cunicolo, e la puoterono vedere perché una porzione ivi prossima rimaneva senza la volta sopra. Indi si portarono a riconoscere le sorgenti per vederle imbocare dentro"


Righe che, insieme alla grande soddisfazione di Vanvitelli, ci fanno respirare un'aria lontana dai grandi fasti della Corte e che hanno in qualche modo il sapore di una gita in campagna, facendoci vivere per una volta anche la semplicità del Re e della sua Regina (se semplice si può considerare la costruzione di un Acquedotto di 38 km!).

Si trattò comunque di un risultato di grande importanza per Vanvitelli, che riuscì finalmente a placare (anche se per poco) le malelingue che dubitavano della possibilità di portare a completamento con successo quella mastodontica impresa.

"Il tutto riuscì con plauso e molti della Corte si disingannarono delle tante diverse ciarle, e fra questi non mancò qualchuno che dubitasse della durata dell’acqua, ma in vano, perché essendo le vene ancora magre, l’acqua in vece di scemare anderà a crescere quando viene la Primavera e l’Estate e soltanto cala nelli mesi di Decembre fino a tutto Febraro"

A lavori ultimati, l'opera che ne risultò fù un ponte in tufo a 5 archi alto 6 metri per una lunghezza di 130 metri. Poca cosa rispetto ai futuri Ponti Della Valle, ma fondamentale per lo sprono di tutti i lavori di costruzione dell'Acquedotro e caratteristico per il suo aspetto romantico perfettamente calato nel paesaggio bucolico.


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