Il TRAFORO di GARZANO (#)


I Ponti della Valle sono certo l'opera più mirabile dell'intero Acquedotto Carolino ma, giunti al completamento di quell'opera, le fatiche di Vanvitelli erano solo agli inizi.

I Ponti della Valle conducevano infatti giusto di fronte al Monte Garzano, la cui durissima consistenza rocciosa lasciò per lungo tempo l'Architetto indeciso fra procedere con un traforo o aggirare l'ostacolo con un allungamento del percorso di almeno 7 miglia.



Ma i lavori per la realizzazione dell'Acquedotto erano già lunghissimi ed il tempo per Vanvitelli era tiranno, cosicché egli si risolse per dare il via ad uno scavo lungo più di mezzo miglio per il quale furono impiegate 2 squadre contemporanee alle 2 estremità del monte.

[...] ho ritrovato che le Compagnie di Minatori hanno fatto palmi 150
e la Compagnia delli Muratori e contadini palmi 321.
In tutto palmi 471.
Vi è una emulazione grandissima fra l'uno e gli altri,
ma questo giova molto all'avanzamento del lavoro
 il quale tutto insieme sono palmi 3400,
cioè sopra mezzo miglio

Lavori tutt'altro che facili, sia per la durezza della roccia, sia per la necessità di scavare in aggiunta pozzi verticali di aerazione per grandi altezze (i più alti, fino a 300 palmi), dovendo rinunciare comunque all'aerazione nel tratto centrale della montagna per ben 1770 palmi.

[...] e palmi 1770 in un tratto senza pozzi,
né è possibile farvene, attesa la grande altezza della montagna,
la quale è tutta pietra viva.

Lavori durissimi, quindi, che durarono dal 1755 al 1759 con grande impazienza di Vanvitelli, che nel 1758 scriveva al fratello:

Il traforo del Monte [...] sono palmi Romani numero 4060,
vale a dire quasi due terzi di miglio [...];
per terminarlo vi mancano [...]  palmi Romani 653.
questo lavoro lo spero dentro di un anno compito o prossimissimo a compire;
è vero però che [...] lavorando notte e giorno
si è fatto 2 palmi e mezzo, e parimente dalla parte opposta
[...] ma forse ritornerà ad essere più praticabile
[...] non è sperabile cosa tenera,
ma sol tanto dalla durissima selce
pervenire ad una pietra meno dura un poco.

Un lavoro che avrebbe rischiato di comportare ulteriori lungaggini se i due scavi non si fossero intercettati esattamente alla stessa altezza, ma l'estrema perizia delle livellazioni, che per 2 giorni videro Vanvitelli direttamente relegato nella montagna a dirigere i lavori da un lato con Collecini dall'altro, consentì alle 2 squadre di incontrarsi perfettamente nelle viscere del monte con grande festa alla caduta dell'ultimo diaframma di roccia.
Vanvitelli racconta così il momento della breccia:

Io vi passai il bastone attraverso;
si fece lavorare tutta la notte del Giovedì,
onde il Giovedì mattina passai io stesso per il buco,
non ancora allargato sufficientemente per passarvi con comodo [...]
Ora si sta allargando per rendere comodo il passaggio alle loro Maestà.
La Regina è impaziente di passarvi; mi disse ieri:
Se ci siete passato voi, perché non ci posso passare io?
Addussi, com'è vero, essere il traforo un aggregato di macerie [...]
Il Re replico: Or via quando sarà tutto all'ordine me lo dirai, che ci verremo.


Vanvitelli non era certo tipo da farsi sfuggire una simile opportunità e, per l'occasione, fece

ritrovare tutta la Grotta, dall'ingresso del monte fin' agl' Archi,
illuminata con 600 lumi dentro altrettanti lanternoni

Un momento per lui di immensa soddisfazione, potendo finalmente esibire all'intera Famiglia Reale la sua Opera in tutto il suo splendore.




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